Il percorso di diagnosi del Covid-19 è stato costellato da evoluzioni più o meno complesse e comprese solo in parte dalla popolazione.

In particolare, c’è stato un periodo in cui non si capiva bene come potersi confrontare con il medico e come poter avere la conferma di aver contratto l’infezione.

All’inizio la diagnosi veniva fatta con l’invio dei pazienti sospetti in pronto soccorso: questi pazienti venivano attentamente valutati e veniva effettuato un tampone.

La consegna degli esiti, a causa dell’enorme mole di lavoro al quale erano sottoposti i laboratori e i servizi di igiene, lasciava a desiderare.

Il paziente (e il suo medico) poteva rimanere anche cinque, sei anche sette giorni nel limbo, senza sapere se essere positivo o no.

Il risultato non cambiava: l’isolamento era consigliato a tutti, in base alla regola non scritta che fosse meglio un paziente negativo erroneamente chiuso in casa piuttosto che uno positivo a scorazzare per il paese.

Poi, la macchina della sanità ha fatto un enorme passo avanti e si sono aperti con grande solerzia gli ambulatorio covid, dove il medico di medicina generale poteva inviare i pazienti dubbiosi, e sono state attivate le postazioni “drive-in”, per effettuare il tampone direttamente dal finestrino dell’auto, recandosi negli appositi luoghi di prelievo.

E’ stato difficile, specialmente nella fase iniziale, far capire a molti pazienti che il tampone non poteva essere prescritto a tutti indistintamente, ma bisognava farlo ai veri sospetti e aspettare che il fisico mostrasse alcuni dei segnali critici legati alla malattia.

Che fosse un atteggiamento corretto o no, era l’unico che ha permesso al sistema sanitario di non collassare, nell’attesa di avere più risorse per effettuare i tamponi.

Finita (speriamo) la fase massiccia di diagnosi di infezione e la conseguente richiesta di tamponi di massa, è arrivato il momento dei test sierologici.

Molto più ricercati di quella che potrebbe essere una mastercard, i test sierologici, grazie anche alla spinta preventiva data dai mass media, sono diventati i VIP del mese di maggio.

E’ apparso recentemente sui social infatti che in Emilia Romagna il medico di famiglia fosse abile a prescrivere i test, anche se questo non corrispondeva alla realtà, o meglio, corrisponda al vero ma non sia ancora fattibile.

A breve, probabilmente, il medico di medicina generale potrà prescrivere il test sierologico a carico della Regione, da effettuare in uno dei laboratori autorizzati per il prelievo del sangue. (aggiornamento del 1/6/20 . Ora il medico di medicina generale può prescrivere il test, ma molte strutture private lo possono effettuare anche con la prescrizione dei medici interni alla struttura stessa).

A cosa serva, al cittadino comune, fare un test sierologico?

Citando il dott. Lopalco, epidemiologo pisano, “gli anticorpi iniziano ad essere identificabili a partire dalla fine della seconda settimana dopo l’inizio dei sintomi, quindi più o meno fine della terza settimana da quando abbiamo contratto l’infezione.” 

Se quindi una persona risultasse positiva agli anticorpi , per le due tre settimane precedenti ha comunque potuto infettare altre persone, ovviamente se non ha mantenuto le regole di isolamento e igiene suggerite a tutte le persone finora.

Il test sierologico non serve quindi ad identificare persone che sono sane ed hanno il virus, perchè per quello è necessario il prelievo di campione salivare e mucoso con il tampone.

Se invece si risulta positivi ai test sierologici?

Se le IGg segnano positivo, cioè si ha contratto il virus, ora si è immuni ad infezioni come un super eroe della Marvel? Non è proprio così che funziona, perchè si potrebbe essere positivi agli anticorpi e avere comunque anche il tampone positivo, con la presenza del virus nel nostro tratto respiratorio.

Se si risulta positivi alla ricerca delle IGg e si ha il tampone negativo?

Possiamo finalmente permetterci di considerarci super eroi, starnutire a destra e manca e ballare la chucaracha senza mascherina in centro al paese?

Macchè, neanche in questo modo, perchè per sapere di avere anticorpi veramente protettivi, a dosi massicce, bisogna fare un test assai complesso che richiede la verifica della neutralizzazione del virus su una coltura cellulare.

Detto questo, di seguito, il consiglio spassionato della vostra dottoressa.

Se pensate valga la pena di fare il test sierologico per anche solo uno di questi motivi:

  1. perché pensate di essere infetti
  2. perché pensate di essere immuni
  3. o ancora peggio
  4. per curiosità
  5. per sicurezza
  6. per tranquillità

abbandonate da subito l’idea.

Concentratevi piuttosto su questi punti, molto più utili di un test sierologico:

1 evitare luoghi affollati

2 mantenere ancora altissima la guardia per quanto riguarda la protezione individuale e le accortezze igieniche

3 rivolgervi al vostro medico se doveste avere sintomi influenzali o altro di cui avete dubbi

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